La pianta di una città non potrebbe essere più diversa: il centro storico di Roma (nei pressi di piazza Navona) con la tipica architettura a isolati si contrappone a un quartiere residenziale caratterizzato da edifici a sé stanti (quartiere Parioli – un tipico esempio di espansione urbana realizzata con l’impiego della palazzina romana).
Il fatto che Roma venga associata architettonicamente ai suoi edifici più antichi dipende sicuramente dalla loro qualità. E naturalmente anche dalla loro densità e dalle dimensioni imponenti. Tuttavia la città di Roma, che oggi si estende su un’area di circa 1.290 km² – mentre la città antica comprendeva circa 25 km² – è composta per lo più da edifici costruiti in anni recenti. L’area all’interno delle Mura aureliane, erette nel 275 d.C. a cingere i sette colli, Campo Marzio e il quartiere di Trastevere, fu sufficiente a contenere lo sviluppo urbanistico della città fino all’unità d’Italia, nel 1861.
Pianta del 1830 che mostra la città di Roma come rimase in linea di massima fino al 1870. [Fonte: Wikipedia]
Nel 1871, quando Roma divenne la nuova capitale d’Italia, si avviò un’intensa attività di costruzione, inizialmente all’interno delle mura; tuttavia ben presto, con il continuo aumento della popolazione cittadina, i confini della città si allargarono. Successivamente, la ripresa economica degli anni Cinquanta e Sessanta e il massiccio abbandono delle zone rurali vennero accompagnati da un consistente ampliamento della città. Per far fronte al forte aumento della popolazione cittadina, nacquero i quartieri moderni durante quello che viene definito il boom edilizio negli anni del miracolo economico.
Interpretazione moderna e urbanità frammentata?
L’immaginario legato alle città italiane è fatto di piazze e vicoli, rimanda a una netta separazione fra spazi edificati e spazi aperti, a densità di costruzione e continuità delle facciate. La struttura urbanistica dei nuovi quartieri assume un aspetto completamente diverso in seguito all’affermarsi di singoli edifici indipendenti.
Le norme edilizie e i nuovi piani regolatori introdotti a Roma nel 1873 favorirono questo sviluppo in una serie di tappe successive. Il piano regolatore dell’epoca prevedeva la divisione in zone e stabiliva le tipologie di edifici ammissibili. Non veniva tuttavia fissato l’indice di edificabilità, com’è invece consuetudine odierna, bensì l’altezza massima degli edifici e la distanza minima fra essi.
L’epoca d’oro degli edifici abitativi isolati
La categoria edilizia del villino – casa unifamiliare circondata dal verde – si è sviluppata come dimora della borghesia benestante a partire dalla seconda metà del XIX secolo. All’inizio del XX secolo questa tipologia edilizia era richiesta a tal punto che venne integrata nel piano regolatore del 1909, nel quale si indicavano anche le aree idonee al suo impiego. Dopo la prima guerra mondiale, a causa della grande carenza di alloggi, nelle aree previste per la costruzione di villini originariamente con un massimo di tre piani venne consentita la realizzazione di edifici abitativi di dimensioni maggiori. A partire dal 1920 la nuova categoria edilizia della palazzina permise di edificare un quarto dei terreni, mantenendo una distanza dai confini di almeno 5,80 metri, tuttavia fu consentito di costruire l’edificio direttamente in linea con la strada. La normativa prevedeva quattro piani più l’attico, un massimo di 19 metri d’altezza e un fronte strada che non superasse i 25 metri di lunghezza. Al piano terra era concesso l’uso commerciale con l’allestimento di negozi.
Questa tipologia edilizia, inizialmente inserita nel piano regolatore come misura di carattere transitorio, riscosse grande successo come edificio abitativo a uso privato. Apprezzato sia da chi sceglieva di investire nell’edilizia, sia da chi cercava una sistemazione abitativa, divenne la tipologia edilizia prediletta dal ceto medio, e caratterizza ancora oggi interi quartieri, dalla Balduina ai Parioli, nella zona nord della città, fino a Monteverde nell’area a sud-ovest.
Negli anni in cui ho vissuto a Roma passavo quasi ogni giorno davanti a una palazzina di Moretti, nel quartiere di Monteverde nuovo. La strada non è particolarmente ampia, il traffico abbondante. La facciata, originariamente bianca, è oggi ocra, l’aspetto d’insieme dell’edificio risulta molto eterogeneo poiché i proprietari dei singoli appartamenti hanno scelto finestre e tende da sole di diverso tipo. Tuttavia la facciata scultorea riesce ancora ad attirare l’attenzione.
Palazzina della Cooperativa Astrea, 1947‑1951, Arch. Luigi Moretti
Via Edoardo Jenner 27, 00151 Roma
Pubblicazioni sulla palazzina romana
Questa tipologia di edificio ha ricevuto poca attenzione nella storia dell’architettura. Ad essere documentate sono soprattutto le opere di singoli architetti italiani. La guida Architekturführer Rom di Stefan Grundmann (anno di pubblicazione 1997), fedele compagna di viaggio per architetti di lingua tedesca a Roma, parte dall’antichità per arrivare all’epoca moderna, presentando dodici palazzine romane; oltre una ventina vengono invece trattate nel libro Roma. Guida all’architettura moderna. 1909–2011 di Piero Ostilio Rossi (pubblicato nel 2012).
Nel 2016 è uscito un libro curato dal Prof. Alfredo Passeri: LA PALAZZINA ROMANA…irruente e sbadata
Per risvegliare l’attenzione su questo fenomeno anche in Germania, è stato recentemente pubblicato un bel volume dedicato proprio alla palazzina romana:
Collana Rosa Reihe, volume 12
Rom. Häuser der Stadt 1920–1980 / “Le palazzine”
a cura di Dietrich Fink e Stefan Imhof (cattedra di Architettura urbana, Università tecnica di Monaco di Baviera), pubblicato nel 2023, testi in tedesco e italiano, casa editrice della libreria Walther König, Colonia
Ho avuto il piacere di tradurre in tedesco il saggio del Prof. Valerio Palmieri, „L’invenzione della palazzina / Die Erfindung der Palazzina“. Sul tema dell’urbanità vi si legge: “un manufatto architettonico tendenzialmente anti-urbano, come è stato più volte sottolineato dalla critica, per la sua natura di oggetto autonomo e individuale distaccato dai confini del proprio lotto, a configurare brani di città con una qualità dello spazio pubblico calibrata e per diversi aspetti assimilabile a quelli della città storica.”
Nel volumetto vengono presentate 21 palazzine romane realizzate fra il 1922 e il 1974, ordinate in base all’anno di costruzione e documentate con fotografie attuali ed elaborati grafici realizzati appositamente.
Oltre all’evoluzione artistica, il libro mette in luce quale potenziale e molteplicità di implicazioni questa categoria di edifici abbia risvegliato per gli architetti, fra cui si trovano nomi illustri come Luigi Moretti, Ugo Luccichenti e Bruno Zevi. Queste costruzioni sono molto eterogenee, a volte sperimentali, a volte ispirate all’architettura razionale, ma hanno in comune una caratteristica: la decorazione della facciata, che fino ad allora era stata un tratto distintivo, viene dismessa come un abito vecchio.
Alcuni edifici mi sono noti dai tempi in cui vivevo a Roma, gli altri li andrò a scoprire nel mio prossimo viaggio. È un peccato che il libro non riporti gli indirizzi esatti, tuttavia gli edifici sono talmente conosciuti che con i motori di ricerca e le cartine digitali si individuano facilmente.
A chi nel prossimo futuro potrà visitare Roma solo virtualmente consiglio Palazzine sul sito web ArchiDiAP, un progetto del Dipartimento di Architettura e Progetto, dell’università La Sapienza di Roma.
L’origine delle parole: anche ‘palazzina’ è un’invenzione romana
All’inizio del XX secolo il piano regolatore di Roma introduceva nel campo dell’edilizia abitativa delle tipologie di edifici ben definite e accompagnate da una descrizione concreta: oltre ai ‘fabbricati’, edifici da otto a dieci piani per un massimo di 24 metri d’altezza, e ai ‘villini’, abitazioni di non più di tre piani, venne introdotta la tipologia denominata ‘palazzina’.
La parola ‘palazzina’ è arrivata a noi dall’antica Roma: indicava una piccola costruzione abitativa che faceva parte di un’antica villa romana, tradizionalmente costituita da più edifici. ‘Palazzina’, diminutivo di ‘palazzo’, indicava un edificio di dimensioni ridotte rispetto alla villa vera e propria.
Nel Dizionario Italiano Sabatini Coletti, dopo il rimando al significato più antico di ‘villetta’ e ‘villino’, si trova la definizione odierna di “elegante casa plurifamiliare a più piani e con più appartamenti per ogni piano, ben distaccata dagli edifici circostanti”.
La storia urbanistica della palazzina ha portato alla coniazione di una nuova parola: a Roma il periodo di grande espansione urbana fu caratterizzato anche da una forte speculazione edilizia, in quel contesto nello stile architettonico della palazzina vennero edificate anche molte costruzioni di scarsa qualità. Per indicare gli imprenditori edili arricchitisi grazie alla speculazione edilizia senza scrupoli venne coniato il termine ‘palazzinaro’.
La desinenza ‘-aro’ è propria del dialetto romanesco dove viene utilizzata per i mestieri soprattutto nel campo dell’artigianato e del commercio. Il termine ‘palazzinaro’, nato appunto per indicare la professione, ha ben presto assunto una connotazione negativa.
palazzinaro/a: speculatore edilizio; negli anni del boom economico degli anni cinquanta-sessanta i “palazzinari” costruirono interi quartieri a Roma ed in molte altre città italiane.
[Quelle: laputa.it/lexicon/aro/]
In seguito al successo dell’“operazione palazzina” a Roma nei primi decenni del XX secolo, si diffusero in tutta l’Italia sia la parola ‘palazzina’ che il tipo di edificio a sé stante con massimo tre o quattro piani. Tuttavia la palazzina romana, sia come termine tecnico che come tipologia edilizia che ha plasmato il paesaggio urbano di Roma, ha assunto una certa rilevanza solo per un pubblico di addetti ai lavori.
Così ne parla l’architetta Ghisi Grütter, nella sua recensione del libro di Alfredo Passeri: “Questa nuova avventura del mio infaticabile collega ha un duplice obiettivo: da un lato quella di ottenere il riconoscimento del valore della tipologia architettonica del Novecento, soprattutto romano, dall’altra, quella di rendere palese la necessità di interventi di restauro e di ripristino.”
La mia proposta: riscoprire le palazzine d’autore con una gita in bici. Ammetto che l’idea di attraversare le vie di Roma in bicicletta non sia affatto comune. Tuttavia è un’ottima opportunità per osservare la città da un punto di vista diverso, fermandosi ogni qualvolta lo si desidera. A proposito di gite a Roma: ho sperimento con grande gioia anche un tour panoramico su due ruote, un’occasione imperdibile per cicloturisti e abitanti della città eterna – Roma in bicicletta: un tour panoramico attorno al centro storico
Traduzione e adattamento
dell’originale tedesco “Architektonisches Erbe in Rom: Die „Palazzina romana“ – ein Bautypus im Kontrast zur Historie”
a cura di Francesca Parenti | Traduttrice, interprete e promotrice della lettura e del bilinguismo